
Intervista ad Alessandro Bratti
Direttore Generale di ISPRA
È di fine aprile la nascita dell’alleanza scientifica fra ENEA, Istituto Superiore di Sanità (ISS) e Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA, composto da ISPRA e dalle Agenzie Regionali del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) per fornire risposte circa la possibile correlazione tra COVID-19 e inquinamento atmosferico.
Il progetto, denominato PULVIRUS, si avvarrà di competenze e operatività di tutto il territorio nazionale che vede la collaborazione del Servizio pre-operativo nazionale in via di definizione “Qualità dell’Aria – Mirror Copernicus” e del progetto europeo Life-Prepair sul bacino padano.
Il progetto studierà le interazioni fra particolato atmosferico e virus sia mediante una simulazione matematica al computer che un modello biologico rappresentativo delle caratteristiche di SARS-CoV-2.
PULVIRUS si svilupperà sull’arco di un anno, ma già fra pochi mesi sarà comunque possibile consultare i primi risultati significativi fra i quali l’analisi di fattibilità di un sistema di rivelazione precoce da attivare possibilmente prima della prossima stagione autunnale.
L’obiettivo è quello di effettuare un’analisi seria e approfondita su queste tematiche, fondata su protocolli scientifici verificabili, così da fornire a istituzioni e cittadini informazioni attendibili utili per la migliore comprensione dei fenomeni e l’assunzione delle opportune decisioni.
Abbiamo intervistato uno dei protagonisti: Alessandro Bratti, Direttore generale ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale)

Che tipo di dati raccoglierà e analizzerà il progetto Pulvirus?
È un progetto complesso che si basa sulle seguenti linee di attività:
Analisi degli effetti delle misure di distanziamento fisico durante il periodo della pandemia da COVID 19: cosa dicono le stazioni di monitoraggio italiane.
_ Valutazione sull’intero territorio nazionale della riduzione delle emissioni e concentrazioni di inquinanti atmosferici per effetto dell’introduzione di misure per contrastare la diffusione del COVID-19;
_ Assimilazione dati ensemble modeling (unione di dati statistici provenienti da analisi diverse);
_ Campagna integrata di caratterizzazione della composizione chimica del particolato;
_Valutazione dell’impatto a larga scala della riduzione delle emissioni sulla composizione atmosferica e sulle concentrazioni ambientali di gas serra.
Studio sulle interazioni fisico-chimiche-biologiche tra polveri sottili e virus.
Raccomandazioni per il trattamento di campioni di particolato e valutazioni preliminari allo sviluppo di un modello predittivo di allerta precoce conseguente alla presenza di tracce di COVID-19 sul particolato atmosferico.
Se, come ipotizzato, viene dimostrata una correlazione tra la diffusione del Covid19 e l’inquinamento atmosferico si può immaginare che i risultati possano essere utili anche per prevenire o mitigare la diffusione di pandemie in futuro? Come per esempio l’identificazione di particolari inquinanti tra i tanti?
La correlazione più plausibile potrebbe essere, cosi come ipotizzato dai colleghi della Rete Italiana Ambiente e Salute, quella che evidenzia come le popolazioni soggette a situazioni di maggior inquinamento atmosferico siano anche quelle più sensibili a contrarre infezioni sia di naturale virale che batterica. Vedo meno probabile l’ipotesi di particolato come “carrier” di particelle virali. In ogni caso questi studi potrebbero sicuramente essere utili per predisporre modelli predittivi.
La sinergia di tutti gli enti nazionali e territoriali su questo progetto pensa possa dare l’abbrivio ad una governance più centralizzata per quanto riguarda la tutela dell’ambiente?
In questo caso mettere insieme così tanti enti è stato abbastanza semplice per la grande motivazione che sta alla base dei numerosissimi colleghi tutta tesa a dare un contributo per aumentare la conoscenza sui fenomeni relazionali tra inquinamento e salute.
Non c’è dubbio che questa grande tragedia ha messo in evidenza come ambiente e salute necessitino di un’unica regia almeno a livello nazionale.
Per i temi ambientali ci si era già posti il problema. L’introduzione della legge 132/2016 tesa ad indentificare dei criteri minimi di tutela ambientale su tutto il territorio nazionale va in quella direzione. Dopo 4 anni dell’applicazione della legge posso dire che qualche passo in avanti è stato fatto ma, a mio parere, assolutamente insufficiente. Credo che l’unica soluzione sia la costituzione di una Agenzia nazionale sul modello dell’EPA statunitense.
Benché il Covid19 ci abbia gettato in una situazione indiscutibilmente drammatica non possiamo non vederne gli aspetti positivi tra i quali anche una maggiore propensione della politica a seguire le linee guida della comunità scientifica. Pensa possa essere un inizio affinché questo rapporto non venga mai meno e sia finalmente possibile un green deal nazionale senza indecisioni e ritardi?
Penso che la politica nazionale debba basarsi maggiormente sulle professionalità espresse dagli enti di ricerca e tecnico-scientifici governativi. Non credo, almeno per quel che riguarda i temi ambientali, che ci sia la necessità di creare comitati e sottocomitati chiamando chissà quali esperti.
Sempre parlando delle cose che conosco, ritengo che le professionalità degli Enti sopra ricordati (Ispra, CNR, ENEA, ISS, SNPA) potrebbero essere consultati con maggior regolarità così come avviene ad esempio in Germania.
Per quel che riguarda il Green deal ritengo che la pandemia che stiamo vivendo abbia solo accelerato un processo inevitabile. Il modello di sviluppo così incentrato su una sorta di globalizzazione totale non può reggere. Occorre ritornare allo slogan “pensare globalmente, agire localmente”. Oggi un’economia più basata sulle specificità locali è possibile e, anzi, grazie alla digitalizzazione e allo sviluppo delle tecnologie assume anche una valenza globale.
Il futuro se sapremo leggere bene ciò che è capitato potrebbe essere di grande prospettiva.
Un “New Normal” può essere reale.