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Inquinamento e clima: l’esperimento del Coronavirus.

di Luca Lombroso, Meteorologo AMPRO e divulgatore ambientale.

L’emergenza sanitaria indotta dal coronavirus COVID-19 è anche un gigantesco esperimento per individuare quanto e su che settori possono calare le emissioni di gas serra e l’inquinamento atmosferico. Per chiarezza, è ovviamente un esperimento involontario e per nulla positivo. Sottolineo fin da subito che le emissioni vanno ridotte per virtù e non per necessità.

In Cina l’epidemia da coronavirus ha dato i primi segnali a fine dicembre, con l’aumento di inspiegabili casi di polmonite atipica di origine sconosciuta. Scoperto il nuovo virus, dal 23 gennaio le autorità cinesi hanno preso provvedimenti di quarantena come mai visti in passato. Nella città di Whuan in particolare, ma anche in altre città della Cina. Ne è conseguito un rallentamento dell’economia che porterà la Cina a una diminuzione della crescita mai vista in passato. Inevitabile supporre che questa situazione abbia impatti sull’inquinamento atmosferico, ed infatti giungono le prime conferme dall’occhio attento dei satelliti.

A dimostrarlo sono le elaborazioni effettuate dagli scienziati della NASA, basate sullo strumento di monitoraggio troposferico (TROPOMI) a bordo satellite Sentinel-5 dell’ESA.

Le mappe di concentrazioni di NO2 mostrano un calo da valori di oltre 500 umol/m3 nel periodo 1-20 gennaio a meno di 100-150 umol/m3 dal 10 al 25 febbraio. In pratica, l’inquinamento si è più che dimezzato.

Secondo gli scienziati NASA buona parte della diminuzione è conseguenza delle misure di quarantena e chiusura di molte attività. L’NO2, ricordiamo, è un inquinante primario emesso principalmente dal traffico veicolare, dagli impianti energetici e industriali.

Questa è la prima volta che vedo un calo così drammatico su un’area così ampia per un evento specifico

ha dichiarato Fei Liu, ricercatore sulla qualità dell’aria presso il Goddard Space Flight Center della NASA.

La diminuzione dell’incupimento osservata da satellite si osserva su tutta la Cina.

Diminuiscono anche le emissioni serra, di un impressionante ammontare di 100 milioni di tonnellate in sole due settimane secondo le analisi del portale CarbonBrief. Per dare un’idea, si tratta di un calo pari a un terzo delle emissioni dell’Italia, come se si fossero chiuse 100 centrali a carbone o fermate 50 milioni di auto per un anno. Ancora, questo numero equivale a quasi il doppio delle emissioni del settore residenziale in Italia.

In termini percentuali equivale a un calo fra il 15 e 40% delle emissioni, soprattutto dovute al minor uso di carbone. Addirittura, se continua questa situazione forse per la prima volta le emissioni della Cina potrebbero essere nel complesso annuale in calo.

E in Italia? La valutazione per il nostro paese è resa complicata dal mutare della circolazione meteorologica proprio in concomitanza dell’inizio dei provvedimenti. Fino al 25 febbraio infatti hanno dominato ampi anticicloni e i valori di inquinamento, in particolare da polveri PM10 erano molto alti. Nell’area di Milano, ma anche in Veneto ed Emilia Romagna. Dal 25 febbraio sono subentrati forti venti nordoccidentali che hanno rimescolato l’atmosfera. Sono seguite anche, dopo due mesi di siccità, le piogge.

Sta di fatto comunque che nel complesso del mese anche per l’Italia del nord i satelliti mostrano un vistoso calo delle concentrazioni dell’inquinante primario NO2, dovuto per il nostro paese principalmente al traffico. L’entità del calo sia di questo gas che dei PM10 e PM2,5, scesi a valori quasi da montagna, lascia legittimi dubbi su quanto ha influito in particolare la riduzione del traffico veicolare e rimette in discussione il ruolo che molti assegnano ai riscaldamenti domestici e alle biomasse come principale inquinante.

D’altronde, anche durante l’emergenza si sono verificati alcuni superamenti dei limiti di legge, in particolare fra Veneto ed Emilia centrale. Sono stati però episodici, in concomitanza con una breve fase prefrontale che ha compresso le masse d’aria al suolo accumulando le emissioni di settori come residenziale e agricoltura-zootecnia.

Un cenno ora anche alle ipotesi di se e come l’inquinamento atmosferico ha agevolato la diffusione del virus. Un position paper della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima) ipotizza un legame fra andamento dei contagi e concentrazioni di PM10. Questo studio però, non sottoposto al processo di peer review, ha dato molte discussioni e va preso con estrema cautela per cui non entriamo nei particolari.

Insomma, presto per fare conclusioni, ma questo involontario esperimento va usato per approfondire l’argomento, su quanto massicce riduzioni in particolare di traffico possono portare benefici alla qualità dell’aria.

Questa diminuzione temporanea infatti non ha benefici reali, sul clima in particolare non sono le emissioni di un singolo anno ma l’accumulo e l’aumento di concentrazioni nel lungo periodo.

Al termine dell’emergenza infatti è facile immaginare una rapida ripresa dell’inquinamento ed emissioni, che vanificherà i presunti benefici. Già se ne vedono traccia in Cina, che con la ripresa ha visto ripartire in fretta le concentrazioni di NO2 come ha subito rilevato l’occhio attento dei satelliti.

Questo episodio dimostra comunque una cosa. Il famoso disaccoppiamento dell’economia dalle emissioni serra non è ancora avvenuto. Se guardiamo alle emissioni storiche, i cali che si notano attorno al 1974, al 1980, al 2001 e al 2008 non sono stati dovuti a scelte verso efficienza energetica, mobilità sostenibile e fonti rinnovabili ma a crisi energetiche, economiche, attentati e ora appunto all’imprevedibile coronavirus.

Dobbiamo invece attuare un piano come dal paper scientifico sulla Carbon law che porti a una crescita delle rinnovabili con un boom simile alla diffusione dei microprocessori, una sorta di Legge di Moore per le fonti rinnovabili che porti al raddoppio ogni 5-7 anni con un calo di emissioni, per virtù e non per necessità, del 7% all’anno.

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